Prodi ricorda Andreatta e Prometeia
In una occasione particolare come è stato il ricordo di Nino Andreatta alla Sala del Cenacolo a Montecitorio, nel giorno del suo drammatico “silenzio” di 25 anni or sono, la figura dell’economista trentino stata lumeggiata attraverso documenti inediti pubblicati dall’Arel. Particolarmente significativo tra i componenti del panel, l’intervento di Romano Prodi, allievo di Nino Andreatta. Prodi a toccato molti punti del loro rapporto portando molti aneddoti dei loro colloqui personali oltre che accademici e politici.
Tra i tanti, uno mi ha particolarmente colpito ed è stato quando Prodi ha richiamato l’idea di Andreatta di dare vita nell’ottobre del 1974 alla Associazione Prometeia il centro di ricerche bolognese che rappresentò una innovazione nelle previsioni econometriche. Fino ad allora la previsione economica una sostanziale esclusiva della Banca d’Italia con il modello costruito da giovane Antonio Fazio su impulso di Guido Carli. Prometeia rompeva questo monopolio istituzionale e il mondo universitario usciva dal recinto della cittadella universitaria con tutti i vincoli burocratici, allargando la sua presenza al dialogo con i settori economici privati, con le banche, con il mondo delle partecipazioni statali per il loro ruolo rilevante nell’economia, determinando le condizioni per un allargamento nella circolazione delle idee e delle informazioni per meglio affrontare la situazione economica nelle determinanti decisioni di investimento. Questo avveniva cinquanta anni fa. Poi il modello econometrico di Prometeia a 900 equazioni di cui 150 stocastiche si è progressivamente perfezionato attraverso l’impegno e le capacità di Angelo Tantazzi prima e di Paolo Onofri poi e di tanti altri come l’indimenticabile Filippo Cavazzuti, Paolo Bosi, Giorgio Basevi, Carlo D’Adda, Guido Gambetta, Franco Momigliano ciascuno con la propria specializzazione in politiche fiscali, monetarie, finanza pubblica, statistica, industriale che hanno contributo al successo dell’idea di Andreatta come una squadra che si muoveva con il suo eclettico allenatore. Partecipare, per me negli anni ottanta agli incontri trimestrali al Royal Carlton di Bologna per l’amabilità di Romano Prodi era un momento di grande confronto scientifico e culturale. Si sviluppavano relazioni le più disparate, ma di grande significato. Quel rapporto era diffuso tra i deputati DC delle commissioni economiche che avevano utili elementi di conoscenza e valutazione fuori dai canali istituzionali. Anche in quelle occasioni non mancavano scontri dialettici che soltanto le contrapposizioni accademiche sanno dare tra chi cerca di difendere le proprie posizioni e le idee.
Poi nasceranno altri modelli previsionali come quelli della Confindustria, del Cer o del “Modellaccio” di Ancona di Giorgio Fuá e Marco Crivellini. Un pluralismo scientifico che ha fatto bene al sistema perché ha allargato il campo delle conoscenze.
Il dibattito allora era sull’approccio strutturale della modellistica di impostazione keynesiana o più marcatamente monetarista. Insieme alle teorie keynesiane erano andati in sofferenza anche i modelli ad essa inspirati. Agli inizi degli anni settanta i grandi modelli econometrici erano andati in crisi per l’ arbitrarietà insita nella loro costruzione. Prevaleva allora in Confindustria il modello Dyanmod a 350 variabili. In quei tempi ci si poneva l’interrogativo su come un modello di “domanda” potesse sopravvivere o, ancora, se fosse meglio un modello “grande” rispetto a uno “piccolo”
Alla stabilità che aveva contrassegnato gli anni cinquanta e sessanta si contrappone l’avanzare una grande variabilità, con veri e propri shock da offerta.
Cambia quindi l’approccio e fanno ingresso le aspettative razionali che pongono una adeguata valutazione dei parametri liberi al fine di misurare la arbitrarietà di un modello. Raffinatezza tecnica e enfasi sull’importanza della informazione hanno suggerito schemi di pensiero e metodologie sostanzialmente nuove come affermó Mario Draghi nel lontano febbraio del 1982 a Perugia, mettendo in guardia “dalla necessità di cautela da risultati di politica economica ottenuti da modelli di limitata dimensione, fondati da schemi rigidamente concorrenziali e caratterizzati da scarsa attenzione delle Istituzioni nella politica economica. ”
Poi, nel caso italiano, non mancheranno gli errori previsionali del biennio 92-94, delle variabili di inflazione e consumi come verrà riconosciuto, quelli tra previsione e storia, per variabili difficili da valutare. Ciò avvenne per altro per molti modelli come evidenziarono Clements e Hendry nel 1995. Entreranno in gioco elementi inattesi come lo shock valutario, il cambiamento di rotta nella politica tributaria con un forte aumento della pressione fiscale che ridusse i consumi delle famiglie che attinsero alla ricchezza per compensare la riduzione dei redditi.
Intervenne l’elemento imponderabile della “crisi di fiducia” nella difficile situazione politica ed istituzionale, che contribuì in modo determinante alla riduzioni degli investimenti. Da ciò si è tratto insegnamento per affinare i modelli accompagnando allo scenario di base anche scenari alternativi che evidenzino gli elementi di discontinuità e di maggiore rischio da non sottovalutare.
Nella situazione attuale i teatri di guerra in diverse aree del mondo, la crisi del free trade, i crescenti conflitti commerciali portano a fattori di rischio che alimentano incertezze e dunque la difficoltà di previsioni mirate anche per istituzioni pubbliche come la commissione europea o la BCE e sul versante privato le grandi multinazionali e le banche d’affari.