Recensione di Maurizio Eufemi sul libro “La parabola dell’Ulivo” di Gerardo Bianco   

Recensione di Maurizio Eufemi sul libro “La parabola dell’Ulivo” di Gerardo Bianco   

La parabola dell’Ulivo nella testimonianza di Gerardo Bianco

La parabola dell’Ulivo è l’ultimo libro-intervista di Gerardo Bianco, che con le stimolanti sollecitazioni di Nicola Guiso, completa la analisi ricostruttiva del decennio 1992-2001. E’ il proseguimento del precedente volume dello stesso autore ” la balena bianca l’ultima battaglia”.

È una rilettura penetrante di due legislature: quella breve dal 1994 al 1996, quella del ribaltone e quella del successo dell’Ulivo del 1996, – determinato anche per la scelta elettrorale autonoma della Lega Nord – fino al suo dissolvimento nel 2001. Nel 1998 interverrà la caduta alla Camera del governo Prodi anche per la scarsa conoscenza delle dinamiche parlamentari del Premier; poi subentrerà il governo D’Alema sostenuto da Cossiga con l’operazione UDR e i cosiddetti “straccioni di Valmy” più come momento di legittimazione democratica degli eredi del PCI che non per l’errore di ritenere l’UDR, luogo e punto di aggregazione di una linea di centro sinistra. Completerà la legislatura il secondo governo Amato che porterà alle elezioni del 2001.

La ricostruzione degli avvenimenti avviene per via cronologica così le vicende politiche e parlamentari si intrecciano attraverso i protagonisti degli eventi. Bianco dà voce ai personaggi collegandoli alle principali vicende: dalle riforma istituzionale con la Commissione bicamerale presieduta da D’Alema, alla politica estera e comunitaria con la fase dell’ingresso nella moneta unica, dalle questioni economiche per il sostegno al rigore e al risanamento finanziario a quelle sociali; irrompono nel racconto le vicende partitiche e congressuali e i rapporti con le altre forze politiche e, inoltre, il rapporto con le gerarchie ecclesastiche nei confronti delle formazioni eredi della posizione dei cattolici impegnati in politica.

Bianco svolge una analisi accurata con il rigore dello studioso, con l’esperienza del politico di lungo corso e del parlamentare protagonista di tante vicende, con i ricordi personali, con le testimonianze documentate.

Colpisce la voglia di puntualizzare, di chiarire, di sgombrare ombre e dubbi su molti punti e su singoli aspetti.

Viene smontata la teoria del doppio stato che rappresenta una grave alterazione della realtá storica, sottolineando in modo particolare la contraddizione evidente che deriva dalla straripante libertá del potere inquirente e dall’alterato equilibrio tra Parlamento e Magistratura, tra potere legislative e ordine giudiziario.

Viene criticata la politica del doppio binario perseguita da chi sta al governo e sta al fanco di chi nelle piazza lo contesta. Sul piano partitito interno contesta la politica del piccolo cabotaggio rispetto a quella fondata su un forte sistematico impegno culturale e programmatico riferito ai grandi probemi aperti nel Paese.

Bianco ricostruisce queste vicende da un osservatorio privilegiato: quello della funzione di segretario politico del Ppi e poi di presidente dello stesso partito fino alla nascita della Margherita. Vive intensamente I momenti di tensione e di strappo nel suo partito nella fase di costruzione del’Ulivo, della sua crescita e della parabola dissolvente.

È una operazione veritá, su fatti ed eventi, ricca di riferimenti culturali supportata da testimonianze e ampia documentazione, che permette di penetrare dentro le vicende politiche vissute da un protagonista di quegli anni. Il libro ha il pregio della obiettività, della serenitá di giudizio che solo un intervallo di tempo sufficientemente ampio permette di esprimere.

Racconta una storia politica, quella dei cattolici democratici, che matura con la fase della transizione apertasi nel 1992 e che porterá alla diaspora dei democristiani attraverso rotture politiche, laceranti scissioni e infinite vertenze giudiziarie. Su questo punto si può non essere d’accordo con l’autore soprattutto sul fatto che nel PPI c’era ab origine chi voleva andare oltre, verso qualcosa di nuovo e puro, rinnegando tutto il passato. Quel qualcosa sarà prima la Margherita e poi il Partito Democratico. Del resto tale preoccupazione viene anche riconosciuta dallo stesso Gerardo Bianco, ma forse sarà il tema del prossimo terzo libro a completamento della trilogia.

Ripercorre e analizza con riferimenti puntuali le fasi congressuali del Ppi e le linee contrapposte con i sostenitori dell’alleanza con la destra berlusconiana nella illusione di prenderne la guida con evidenti errori di sottovalutazione della forza e della leadeship di Berlusconi.

Questa valutazione credo sia stata la più lungimirante. Va infatti riconosciuto che tutti coloro che dal 1994 hanno stretto alleanze con Berlusconi – ad eccezione della Lega Nord che ha una sua peculiarietà e territorialità – sono scomparsi dal panorama politico o sono stati assorbiti, vaporizzati nella sua formazione politica!.

Bianco racconta la “storia di una sconfitta politica” come afferma lo storico Piero Caveri nella postfazione o piuttosto rivendica l’orgoglio di una posizione tesa a difendere una cultura politica, una tradizione popolare e democristiana propria del cattolicesimo politico, la difesa strenua di una esperienza politica che si concluse dopo la breve esperienza del Partito Popolare con la fine della Margherita e quindi con quella dell’originario nucleo di cattolici?.

Esprime preoccupazione per gli stravolgimenti costituzionali operati dalla “costituzione materiale”, per il dilagante populismo distruttivo, per la desertificazione culturale, per l’assenza di riferimenti culturali e politici fondamentali per il vivere civile, per la progressiva trasformazione della democrazia in oligarchia, con il prevalere di interessi lobbistici piuttosto che la ricerca di un diffuso bene comune.

Rispetto alla deriva presidenzialistica difende il ruolo del Parlamento che nel sistema costruito dai costituenti resta un presidio istituzionale insostituibile per il governo democratico del paese. Tale convinzione lo spinge ad affermare che è “dalla restaurazione parlamentare, anche attraverso una buona legge elettorale, può rinascere e riaffermarsi la necessaria preminenza della politica oggi confiscata da un economicismo pratico, neppure virtuoso”

Non fa sconti a nessuno dei personaggi politici che attraversano il suo racconto.

Nel giudizio non v’è mai un risentimento personale, ma una valutazione politica oggettiva sulle scelte e sui comportamenti tenendo ben presente il principio dell’amico storico Gabriele De Rosa per il quale ” in politica non conta solo la teoria, ma, nella stessa misura, la pratica, il vissuto, al fine di verificare la coerenza tra i principi e l’azione”. E ciò vale soprattutto per le persone e in modo maggiore per i leader politici o presunti tali.

Nella narrazione si ritrova preoccupazione costante e diffidenza verso una posizione subordinata derivante da una alleanza con la destra per la presenza di forze più spregiudicate ed estreme, dotate di grandi risorse e capacità di cancellare l’anima popolare del partito a cui guardava e a cui guarda. Quasi un richiamo costante alla logica degasperiana della forza di centro che guarda con attenzione critica a sinistra.

Resta come una ossessione la difesa e la salvaguardia di una esperienza politica, quella del PPI, rafforzandola e qualificandola sul terreno, ideale, culturale e politico programmatico. Difesa dunque di ideali e identitá convergenti verso una coalizione di forze politiche diverse, piuttosto che il perseguimento del progetto del partito unico ulivista, come forza unitaria. Per Bianco è infatti un “suggestivo progetto intellettuale, ma privo di fondamento storico e politico”con il prevalere di una posizione politologica che prescindeva dalla differenza delle ispirazioni e dalle tradizioni delle due componenti maggiori PDS e PPI e da una corretta valutazione della realtá culturale, sociale e politica del Paese.

La lettura del libro di Gerardo Bianco, a poco più di un mese dalle elezioni politiche del 25 febbraio aiuta a comprendere la complessitá della storia dei cattolici democratici impegnati in politica, prima divisi e poi definitivamente scomparsi dalle Aule parlamentari insieme ai loro vessilli manipolati dallo originario scudo crociato. Bianco racconta anche la fine di una storia protagonista della ricostruzione del Paese. E ciò aiuta anche a riflettere sul futuro di tutti noi. Quella storia di straordinario progresso, di crescita civile , economia e sociale merita di riprendere un cammino. Bianco difende quella storia con il rammarico per la convergenza di tanti errori e per l’assenza di una” isola” su cui approdare: l’isola che non c’è.

Traspare una profonda amarezza per la situazione che viviamo ed è bene rappresentata dalla constatazione di assenza di prospettive politiche per una inarrestabile deriva politologica ritenendo che i “movimenti politici sono diventati come il Lego utili per comporre e scomporre alleanze a seconda della stagione elettorale”.

Maurizio Eufemi

Roma, 4 aprile 2013

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