Le contraddizioni della legge di stabilità

Le contraddizioni della legge di stabilità

Il governo tecnico ha contrabbandato la legge di stabilità come misure per “aiutare la ripresa della domanda, favorire le fasce di reddito basse, non aumentare la pressione fiscale assoluta, ottenere un effetto redistributivo”. Il comunicato finale di Palazzo Chigi che chiude il Consiglio dei Ministri terminato a tarda notte è lacunoso e non offre quegli elementi valutativi, che ci saremmo certo attesi da esperti e studiosi di così elevate virtù, affioreranno solo in sede di esame parlamentare. Sorprende la lacunosità delle indicazioni. Solo un governo tecnico avrebbe potuto licenziare interventi così contraddittori.

Purtroppo nulla delle indicazioni richiamate in premessa potranno verificarsi con interventi che colpiranno pesantemente i consumi attraverso l’incremento dell’IVA sui prodotti intermedi; incideranno fortemente sui redditi medi attraverso la revisione delle deduzioni e detrazioni fiscali con l’introduzione della franchigia e del tetto complessivo utilizzabile fissato a 3.000 euro. Ricordiamo che il tetto per i soli mutui era fissato a 4.000 euro. Solo per memoria ricordiamo che il nuovo limite è abbondantemente inferiore ai 10 milioni delle vecchie lire ipotizzate come quantum a disposizione del contribuente da portare in detrazione nella legge delega fiscale di inizio anni novanta. Con le misure previste si colpiscono le famiglie che hanno operato scelte di investimento sul bene casa vulnerate nei loro programmi che vengono messi in discussione. La franchigia a 250 euro favorirà il sommerso (soprattutto nei servizi alla persona) anziché farle emergere come era auspicabile per contrastare la evasione. Dunque un pericoloso passo indietro nella metodologia e nella cultura fiscale che nel conflitto di interesse trova esaltazione come strumento di equità e di solidarietà.

L’impianto generale della revisione delle detrazioni è altresì palesemente in contraddizione con le misure adottate solo pochi giorni fa con il provvedimento per lo sviluppo, quello in cui si è elevato a 100.000 euro il limite delle spese per ristrutturazioni edilizie e negli orientamenti per favorire la green economy incentivando il risparmio energetico.

Non vengono tutelate le fasce basse perché la vasta platea degli incapienti rappresentati da sottooccupati e lavoratori marginalizzati non avrà beneficio alcuno.

Viene colpito in modo pesante il ceto medio, l’unico in grado di dare respiro ai consumi che vengono penalizzati da una IVA al 22 per cento. E’ fallito dunque il tentativo di non far muovere l’IVA come ha più volte declamato il Ministro della Economia e come sarebbe stato auspicabile stante la fase deflattiva del Paese.

L’intervento su due scaglioni di reddito Irpef appare poi più un modesto tentativo di edulcorare una manovra correttiva di bilancio attraverso il lato fiscale che produrrà i suoi effetti non immediatamente ma con gli adempimenti tributari del 2013, quindi dopo la scadenza elettorale della primavera, quando le urne saranno definitivamente chiuse.

Il colmo del paradosso è che nella manovra viene confermato il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici con il prelievo straordinario per i redditi sopra a 90 mila e 150 mila euro alla vigilia della pronunzia della Corte. Ma il giudice delle leggi ha sancito la incostituzionalità di quelle come di altre che riguardavano i magistrati, per violazione degli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 53 (principio di proporzionalità della Carta Costituzionale. Queste norme scompariranno nel percorso tra Palazzo Chigi , Via XX Settembre, Palazzo del Quirinale prima della presentazione in Parlamento oppure prevarrà un sorta di giustizialismo fiscale allargato anche al settore privato?.

Se quelli sotto i nostri occhi sono i risultati di una misura così contraddittoria era molto meglio lasciare tutto così come era prima senza toccare l’Irpef. Altrimenti c’è da supporre che gli obiettivi di bilancio non erano realizzabili senza le scelte della legge di stabilità e che le cose non vadano così bene come viene divulgato. Non vi è dubbio che il Welfare debba essere corretto. Si abbia il coraggio di farlo nel modo corretto e razionale. Si è scelta la strada sbagliata. Si colpisce il tessuto sociale che ancora tiene in piedi il Paese. Si scontano vistosi ritardi nella alienazione dell’ingente patrimonio immobiliare pubblico, né sembrano emergere chiare indicazione sulla riduzione degli apparati amministrativi regionali e locali. L’esercizio di revisione della spesa non viene calibrato in funzione dei servizi offerti al cittadini che è costretto a pagare inefficienze pubbliche e servizi alternativi privati.

Manca il coraggio di decisioni di grado di promuovere fiducia e speranza nel Paese.

Manca una concezione vanoniana del rapporto di fiducia tra fisco e contribuente.

Ancora una volta tutti i patti sembrano saltati.

Ha prevalso una impostazione ragioneristica più che bocconiana. Chirurgicamente efficace ma incompatibile con scelte coerenti con lo stato di salute del paziente-Paese. Sembra una manovra visentiniana. Ma quando operava Visentini lo Statuto del Contribuente ancora non era entrato nell’ordinamento. Conta ancora la legge!!! E di fronte a quanto successo sulle Agenzie fiscali dove il voto parlamentare della Commissione è stato cancellato dal voto di fiducia, conta ancora il Parlamento!!!

Roma, 11 ottobre 2012

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