Dall’opa manageriale all’opa territoriale
A neppure quattro anni dalle megafusioni bancarie realizzate nella fase del Governo Prodi affiorano le prime contraddizioni su scelte che poggiavano su equilibri sottili e precari. Lo status quo viene messo pesantemente in discussione dal travolgente successo elettorale della Lega che ha creato le condizioni per intaccare assetti di potere cristallizzati, tesi ad emarginare la politica attraverso alchimie inventate per consolidare la autoreferenzialità delle Fondazioni bancarie.
Il verdetto elettorale sta progressivamente mutando la rappresentanza sul territorio e di conseguenza la difesa degli interessi. Dal controllo del territorio ne derivano opzioni più robuste per una più forte presenza negli organi sociali. Il sistema bancario attraverso l’architettura della foresta partecipata delle fondazioni bancarie deve oggi fare i conti non con lo strumento classico della opa di mercato, ma con una opa istituzionale e territoriale. Di qui vengono i turbamenti di chi cerca di ridurre a beghe provinciali la richiesta di nuovi assetti, mettendo in discussione un sistema duale, come nel caso di Banca Intesa che non ha prodotto un progressivo avvicinamento delle posizioni tra i principali azionisti, quanto una rivendicazione di cambiamento nel vertice del consiglio di gestione della rappresentanza torinese. Davvero si può pensare che per difendere la territorialità piemontese sia sufficiente mantenere a Torino la sede legale del Gruppo bancario e della Banca dei territori, l’ubicazione del grattacielo firmato Renzo Piano ed il centro informatico, o se invece gli interessi in gioco siano ben altri, accentuati dalla crisi economica che ha evidenziato i limiti della fusione? Non fu fatto forse un errore, rinunciando ad un più forte carattere internazionale della banca che la presenza di un socio internazionale le avrebbe dato, privilegiando al contrario la grande dimensione regionale e quindi la spinta ai regionalismi conflittuali con tutte le conseguenze che ne derivano? Sempre che inoltre vi sia rispondenza tra programmi del primo piano industriale e risultati conseguiti. E’ ben altra la posta in gioco! Il pericolo oggi non è che il sistema bancario sia esposto al dominio della politica, ma piuttosto che sulla politica si scarichino le tensioni di poteri che non vogliono essere messi in discussione neppure dalla volontà del popolo che si esprime attraverso gli strumenti democratici.
All’opa manageriale preferiamo l’opa istituzionale e territoriale fondata sulle scelte degli elettori.
Roma, 21 aprile 2010