Intervento su  mozioni nn. 110 (testo 2) (procedimento abbreviato, ai sensi dell’articolo 157, comma 3, del Regolamento), 114 e 117 sugli studi di settore

Intervento su  mozioni nn. 110 (testo 2) (procedimento abbreviato, ai sensi dell’articolo 157, comma 3, del Regolamento), 114 e 117 sugli studi di settore

Presidenza del vice presidente CALDEROLI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Eufemi, al quale però desidero chiedere, dal momento che dovrò sospendere la seduta alle ore 13 per la convocazione della Conferenza dei Capigruppo, se ritiene di poter contenere il suo intervento o se invece preferisce intervenire nel pomeriggio per avere tutto il tempo a disposizione. EUFEMI (UDC). Signor Presidente, mi era stato detto che non c’erano problemi di tempo e che saremmo potuti andare avanti con i lavori parlamentari oltre le ore 13. Credo comunque di poter restare nei tempi e semmai di sforare di un minuto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il senatore Eufemi.

EUFEMI (UDC). Signor Presidente, onorevole sottosegretario Lettieri, non vorrei che questo dibattito fosse un’anticipazione del DPEF, anche per le cose dette dall’onorevole Polledri, e soprattutto non auspico un «modello Veltroni» che è fatto, per esempio, di poca ICI in meno e di tanta addizionale IRPEF in più. Questo per chiarirci subito le idee.

Oggi, per iniziativa dell’opposizione, è posto all’attenzione del Parlamento il problema degli studi di settore. Una questione che come UDC avevamo costantemente richiamato in ogni occasione parlamentare: nella finanziaria 2007, nei ripetuti interventi correttivi Bersani-Visco, sul provvedimento desaparecido sugli ammortamenti per i beni immobili e per l’IVA auto e, più recentemente, sull’atto di indirizzo per gli obiettivi triennali di politica fiscale. Avevamo posto l’esigenza di intervenire rispetto a scelte dissennata operate da questo Governo. Ma il Governo è rimasto sordo agli appelli, un poco tardivi anche della sua maggioranza. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Avevamo sottolineato con forza l’assurdità di quelle scelte ed era di tutta evidenza che il vice ministro Visco aveva imboccato una strada sbagliata e pericolosa.

Quanto sta accadendo è la chiara dimostrazione della distanza abissale, incolmabile tra questo Governo e il mondo delle imprese.

C’è una prima questione: il Governo, che proclama il metodo della concertazione, ne ha travolto ogni significato con un’interpretazione unilaterale rispetto al protocollo d’intesa del 14 dicembre scorso, ripudiando tale criterio, senza alcun coinvolgimento delle associazioni di categoria nell’approfondimento e nell’elaborazione del sistema di accertamento diretto.

Gli studi di settore introdotti nell’ordinamento già nel 1993 solo nel 1998 (ministro delle finanze Visco) tale strumento di accertamento induttivo ha avuto una disciplina, con la quale sono stati conferiti all’amministrazione finanziaria poteri di determinazione dei redditi e dei ricavi su indici presuntivi, prescindendo quindi dalle risultanze delle scritture contabili cui sono tenuti i soggetti di imposta che esercitano attività di impresa o libero-professionale. Oggi ciò consente all’amministrazione finanziaria, nei confronti di soggetti che mantengono le loro dichiarazioni di reddito entro i parametri degli studi di settore, di poter accertare ricavi o redditi. I limiti obiettivi degli studi di settore sono stati nel tempo ritenuti inadeguati in relazione all’impossibilità di poter predeterminare concreti parametri reddituali, che corrispondano alle obiettive realizzazioni del reddito, in relazione a varianti che attengono al settore di attività e all’ubicazione geografica dell’azienda e anche all’ammontare del PIL della zona geografica in cui opera il contribuente. E proprio per questi motivi che gli accertamenti basati sugli studi di settore non hanno avuto ampia applicazione, tenuto conto del constatato negativo impatto che gli accertamenti del genere hanno avuto davanti ai giudici tributari che hanno in gran parte annullato gli atti di accertamento degli uffici basati su tali indici.

Tornato il professor Visco da vice ministro alla direzione della politica fiscale, si è affrettato tra l’altro a rivitalizzare gli studi di settore per farne un oppressivo strumento nei confronti dei contribuenti lavoratori autonomi, a parte la generale critica di fondo che riguarda la proposta di applicare anche ai redditi dichiarati nello scorso 2006 i parametri degli studi di settore determinati nel 2007, disattendendo platealmente i criteri generali dello statuto del contribuente, che sancisce l’irretroattività delle disposizioni tributarie. Inoltre tali studi sono stati predisposti senza alcuna intesa o collaborazione con le associazioni di categoria. Ma è stato lo stesso professor Visco a dare la misura dell’inattendibilità degli studi di settore predisposti per il 2007 quando il suo stesso ufficio studi fa sapere che solo il 53,8 per cento dei lavoratori autonomi è entro i limiti dei criteri previsti di redditi presuntivi. È ben evidente che quando si è di fronte a tali macroscopiche differenze non si può agire con la minaccia degli accertamenti che, di fatto, sarebbero impossibili. Infatti si tratterebbe di verificare più di 3 milioni di contribuenti a fronte di una capacità operativa di tutta l’amministrazione finanziaria (civile e militare) che non supera la soglia dei 100.000 controlli sostanziali annui.

Siamo di fronte ad un caso di «grida manzoniana» e questo il professor Visco lo sa perché diversamente avremmo non il paventato sciopero fiscale, di cui qualcuno imprudentemente ha parlato, ma una giusta e civile disobbedienza civile da parte di quei cittadini che non possono essere chiamati a pagare imposte che non rappresentano la realtà reddituale di ogni singolo contribuente in ossequio all’articolo 53 della Costituzione. Ma di questo non c’è traccia della lezioncina, come prima ho detto, del professor Cipolletta, che si dedica alla politica economica più di quanto non faccia per illuminare il Paese verso il miglioramento della efficienza del trasporto ferroviario italiano, di cui ha assunto la responsabilità attraverso decisione di questo Governo. Gli indicatori sono stati stabiliti in maniera frettolosa, approssimativa, direi rozza. Questa vicenda fa il paio con quanto accaduto con il catasto terreni, dove sono stati registrati clamorosi errori che hanno comportato anomalie grossolane nella classificazione della qualità delle colture. Voi, in base a quel modello, state procedendo alla catastizzazione dei ricavi! Volete utilizzare uno strumento «di massa» che non è in grado di rappresentare in modo compiuto l’attività economica di ogni singolo contribuente perché non tiene conto di elementi contingenti relativi all’ubicazione dell’impresa e alla validità del contesto economico e sociale. Anziché individuare strumenti veramente selettivi di equità fiscale, che richiederebbero un forte impegno nel contrasto della concorrenza sleale, nella contraffazione, nel lavoro sommerso e nell’evasione fiscale, puntate a uno strumento di facile prelievo fiscale (un bancomat, appunto) senza colpire la reale evasione.

La lotta all’evasione fiscale è per voi soltanto un facile slogan, mentre da parte nostra sarebbe auspicabile una riforma di grande impatto sui comportamenti dei contribuenti, che affermi in modo esplicito il principio del contrasto di interesse tra i vari soggetti di imposta. Ma come si fa a sostenere che tale principio è una «balla colossale», come ha affermato il vice ministro Visco, che evidentemente è fuori dalla realtà? La lotta all’evasione deve essere condotta nel rispetto dei principi di civiltà giuridica e fiscale. Come si fa a inserire questo meccanismo posticcio, mutuato da esperienze straniere, senza una revisione radicale dell’intero sistema, in grado di recepire quei meccanismi nell’ambito di un’architettura fiscale coerente e organica? Una vera razionalizzazione del sistema e una sua semplificazione passano non attraverso l’inasprimento fiscale, che ha finito per colpire i contribuenti onesti, ma attraverso un’attività di accertamento più efficace. Il sistema italiano è ben diverso; in altri sistemi il conflitto di interesse tra cittadini e fisco viene risolto attraverso un ampio riconoscimento della deducibilità delle spese dal reddito disponibile.

L’introduzione del conflitto di interesse diviene base di solidarietà fiscale, andando nella direzione opposta a quella praticata da Visco, dunque, non al restringimento di spese fiscalmente deducibili, ma a favore di un più generoso riconoscimento di queste ultime. Anche nei giorni scorsi il Ministro dell’economia e delle finanze, alla festa nazionale del Corpo della Guardia di finanza, si è lasciato andare a giudizi demagogici. Non prende atto di avere prodotto provvedimenti legislativi sbagliati, in una confusione normativa e in un contesto di politica fiscale che hanno avuto negative ripercussioni sui sistema delle piccole e medie imprese, di quelle artigiane e di quelle commerciali, che hanno visto aggravarsi non solo i conti fiscali veri e propri ma i costi di gestione del sistema tributario di impresa. Ha voluto presentare una società dei contribuenti italiani come evasori, trasformandoli in intermediari e ausiliari del fisco. Come non vedere i rischi che la nuova disciplina produce, tra cui un aumento delle attività di verifica per effetto degli indici di coerenza e di normalità economica introdotti, che appaiono eccessivamente oscillanti? Volete dare validità a ciò che non è valido perché la maggior parte delle piccole e medie imprese sta fuori dai paramenti stabiliti unilateralmente e che sono privi di validità statistica. Vi è poi un’altra questione di straordinario rilievo: la violazione di princìpi fondamentali relativi alla irretroattività delle norme fiscali, che stanno alla base dello statuto per il contribuente. Mi domando se il Governo abbia letto attentamente la relazione della Corte dei conti sulla gestione delle amministrazioni pubbliche, appena trasmessa alla Commissione finanze; se abbia letto accuratamente le relazioni del Garante per il contribuente, figura istituita in tutte le Regioni d’Italia; se abbia visto le violazioni che riguardano appunto l’eccessiva pressione legislativa sia nei livelli, in nuovi e pesanti adempimenti, sia nell’applicazione retroattiva delle disposizioni.

Questi nuovi studi di settore rischiano di innescare accertamenti o presunzioni di colpevolezza che rievocano la minimum tax. Sono appunto una minimum tax mascherata. L’imposta minima, infatti, prescinde dal principio della tassazione del reddito prodotto per rifarsi al concetto di reddito “normale”, stabilito dall’amministrazione finanziaria. Si realizza così un sistema di imposizione di reddito normale, che consentirebbe un appiattimento per i soggetti che si trovassero oltre la soglia minima richiesta. Vi è l’abbandono del principio di accertamento basato sulle scritture contabili obbligatorie, una rottura rispetto ai princìpi di contabilità, una lesione dei princìpi costituzionali, in quanto rappresenterebbe una deroga rispetto alla tassazione del reddito prodotto e un riconoscimento all’amministrazione finanziaria di effettuare accertamenti. Occorre ripristinare il valore probatorio della contabilità ordinaria, che non viene rispettato.

Ecco perché vogliamo una moratoria. Vogliamo il ripristino del metodo della concertazione. Vogliamo che si ritorni al protocollo di intesa di dicembre. Si elimini la retroattività per il 2006, si ritorni al valore sperimentale degli studi di settore, si ripristini un clima di fiducia tra fisco e contribuente, tra amministrazione finanziaria e categorie. Le inefficienze dell’amministrazione non possono essere scaricate né sulle categorie produttive né sulle categorie professionali. Avete cambiato le regole del gioco a partita in corso. Vogliamo una revisione complessiva del sistema che realizzi un’autentica semplificazione fiscale, indispensabile per creare un nuovo clima di solidarietà, perché voi state mortificando le imprese e comprimete le possibilità di crescita e di sviluppo economico. Avete rinunciato a governare e a ridurre la spesa pubblica e compensate queste vostre incapacità aumentando la tassazione dell’impresa produttiva. Avete preferito minacciare piuttosto che avanzare proposte serie ed efficaci, come l’esclusione, per esempio, per le imprese che lavorano in conto terzi visto che sono nell’impossibilità di sottrarsi al fisco. Nella mozione di maggioranza vi è solo una difesa pasticciata dell’azione di Governo; sono evidenti tutte le contraddizioni della coalizione, l’incapacità di formulare proposte serie; vi muovete dentro regole che non sono né certe né eque. Vi è mancato il coraggio di affrontare la questione per il verso giusto, che era quello, per esempio, del change over dell’euro. Quella era la strada per affrontare lo spostamento di ricchezza, ma non ne avete avuto il coraggio perché si sarebbe risalito alle vostre pesanti responsabilità sul valore del concambio. Vi è soprattutto la contraddizione tra statuto del contribuente e efficacia retroattativa degli studi di settore che non viene rimossa. Non vorremo, Presidente, che alla fine di tutto questo disattento dibattito, rispetto a una questione invece importante, l’unico beneficiario di questa mozione fosse ancora una volta il Trentino Alto Adige con i riferimenti non alle aree marginali del Paese, ma al voto marginale del Senato. (Applausi dei senatori Polledri e Baldassari). Questa vicenda degli studi di settore è il fallimento della politica fiscale del Governo.

Presidente, voglio sottolineare soltanto una cosa. In quel provvedimento desaparecido, cui facevo riferimento prima, c’era un ordine del giorno della stessa maggioranza o di parti della maggioranza (quella che scrive le lettere sui giornali perché non ha il coraggio di assumere posizioni concrete in quest’Aula) in cui si chiedevano cose certamente diverse. Si diceva, per esempio, di riaprire immediatamente il dialogo costruttivo con le categorie economiche, di stabilire che gli indici di normalità economica introdotti con gli studi di settore non fossero applicabili all’esercizio 2006 e avessero valore sperimentale. Queste sono le cose che scrivono su un documento rispetto ad altre cose che invece vengono poi prese in esame nella mozione della maggioranza. Questa è la contraddizione. Non vorrei che invece di andare verso il partito democratico si andasse verso la doppiezza togliattiano. Presidente, concludo questo mio intervento rappresentando solo degli auspici, perché non mi faccio illusioni rispetto alla capacità di questa maggioranza di affrontare e realizzare obiettivi seri di politica tributaria e di lotta all’evasione, che passano però e soprattutto attraverso un nuovo Governo e un nuovo Ministro dell’economia e delle finanze. (Applausi dei senatori Polledri e Baldassarri e dal Gruppo FI).

 PRESIDENTE. Data l’ora, rinvio il seguito della discussione delle mozioni in titolo ad altra seduta.

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